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Percorso Didattico - "Antonietta du Ligier" di Enrico Baj

14 giugno 2019–15 giugno 2019

COSMESI E PROFUMI

Il riflesso della vanità sulle donne di ieri e di oggi e la critica da Giovenale a Enrico Baj.

“Imparate, o giovani donne, quale accorgimento preservi il viso e come dobbiate proteggere la vostra bellezza”.
Sin dall’antichità la donna è stata oggetto di ammirazione e biasimo; già infatti molti autori, come il poeta latino Ovidio, da cui è tratta questa citazione, hanno trattato la bellezza e le doti femminili, al contrario altri grandi letterati, come Giovenale, Catone il Censore e Plinio il Vecchio, si sono accaniti, talvolta con tono aggressivo, sulle donne e sulla corruzione dei loro costumi sottolineando come esse rappresentassero una deviazione dall’etica del mos maiorum.
La figura della donna è sempre stata associata a usanze e costumi, riguardanti soprattutto la cura del corpo, i cui paradigmi sono cambiati nei secoli.

La cosmetica e i profumi hanno sempre rappresentato una parte importante del  mondo femminile, affascinante, misterioso e poco conosciuto per i canoni maschilisti della letteratura antica, difatti la storia ha spesso presentato figure con aspetti leggendari o semileggendari riguardanti questi ambiti come Cleopatra, figura strumentalizzata dalla propaganda augustea come simbolo dell’oriente ancora ignoto, temibile e corrotto; famosa per la sua bellezza e capacità di seduzione, la regina d’Egitto pose le premesse per la cosmesi romana e successiva: fu una delle prime donne a sviluppare un laboratorio per unguenti e creme per il corpo che ebbe una grande fortuna nell’impero.

I numerosi balsamari di epoca romana testimoniano che vi era una grande attenzione all’estetica e che nel periodo imperiale, a causa della vanità e del lusso delle donne aristocratiche, questi, insieme ai profumi, erano diventati addirittura un problema economico: infatti l’imperatore Tiberio era stato costretto a segnalare in senato l’enorme spesa (100 milioni di sesterzi in un anno) dovuta all’acquisto, da parte delle matrone romane, di essenze aromatiche, fragranze e balsamari in vetro.

Questi piccoli contenitori erano destinati a unguenti e profumi che venivano applicati dalle ancelle sul volto della “domina” con particolari cucchiai da toeletta in metallo con palette piatte circolari. Inizialmente i contenitori per profumi più usati erano gli alabastra egiziani, dal nome del materiale con cui erano realizzati. Tuttavia, a partire dall’età augustea il vetro, spesso colorato, diventa il materiale più utilizzato per i balsamari, la cui produzione si standardizza con la riduzione delle dimensioni in modo tale da agevolare il trasporto, anche se è attestata una grande varietà di tipologie, con forme anche a conchiglia e a uccellino.

Nell'antica Roma, inoltre, erano disponibili in commercio moltissimi potenziali ingredienti per la creazione di cosmetici di diverso tipo e prezzo che andavano dal succo di alcuni frutti alla polvere d’oro, ci sono, quindi, pervenuti tantissimi documenti con ricette per la cura del corpo, tra gli altri il poeta di epoca imperiale Ovidio ne propose alcune nel suo “ medicamina faciei femineae” anche se la maggior parte delle testimonianze ci giungono da Plinio il Vecchio.

La figura della donna vanitosa, in relazione all’uso dei cosmetici, è divenuta oggetto di critiche e parodie da parte di autori di epoche ed ambiti diversi, in quanto immagine di una società in decadenza; Giovenale, in età imperiale, dipinge, nella sua satira VI, l’immagine grottesca della matrona aristocratica romana mentre nel ‘900 il pittore Enrico Baj con la sua serie intitolata “dame e generali”, e in particolare con l’opera “Antonietta du Liger”, realizzata con suppellettili da salotto borghese su uno sfondo che riporta un antiquato motivo decorativo da interni, ritrae i membri dell’alta borghesia, succubi della loro vanità e di una ricchezza che ostentano continuamente ma di cui sembrano non conoscere i motivi.
Come farà Baj, Giovenale delinea una classe sociale che vuole isolarsi da tutto e vivere del suo potere i cui membri danno importanza soltanto all'apparenza con particolare attenzione alla duplice natura delle donne aristocratiche, che con la loro lussuria ribaltano ogni ordine morale e sociale, come testimoniano i personaggi di Eppia, una matrona che segue un gladiatore per amore e Messalina, l’”augusta meretrix”.

Nelle società in decadenza come quelle descritte dai due autori, inoltre, è il denaro a dettare le azioni dell’uomo: Antoniette du Liger, la “dama” di Enrico Baj, appare formata dalla sua stessa ricchezza, il suo viso deformato caricaturalmente, i suoi fianchi esageratamente grandi e tutta la sua figura sono costruiti con cordoni, frange e fiocchi che ornavano i salotti della borghesia dell’epoca; questi materiali diventano, qui, simbolo di una ricchezza futile, che ha perso ogni significato e giustificazione, esiste senza un motivo e uno scopo, come chi la possiede.

In Giovenale, il denaro ha un ruolo simile e diventa l’unica ragione di vita per chi ne ha possesso; esso si sostituisce ai rapporti umani e giustifica ogni cosa, come si può evincere da questo passo della satira sesta:” Gli ha portato in dote un milione, per questo la dice pudica. [...] dalla dote vengono le fiamme, dalla dote partono le saette (dell’amore), così ella si compra la libertà; davanti a lui strizza l’occhio a chi le pare, e può scrivere tutti i messaggi che vuole.
La donna ricca che sposa un avido marito si comporta come vedova.”

Nelle accennate fattezze della dama di Enrico Baj è riscontrabile quell’esasperazione della fisicità dipinta da Giovenale nella satira: la bellezza diventa un idolo da rincorrere ad ogni costo. Nel ritratto di Giovenale la donna romana, in linea con l’assoluta ipocrisia che il poeta contesta al genere femminile, è ansiosa di apparire quanto più simile alla figura della matrona idealizzata ma, a chi la osserva genuinamente, con occhio critico, rivela il suo aspetto sgradevole: ”Spesso la sua faccia schifosa a vedersi e ridicola oltremodo, è rigonfia di mollica di pane o esala il lezzo delle pomate di Poppea; se l’infelice marito vuole baciarla, se ne invischia le labbra  [...] Ma quella faccia che viene mutata e ammorbidita da tanti impiastri, che riceve su di sé tante focacce di farina cotta e bagnata, si dirà che è ancora una faccia o una piaga?”

In questo percorso di opere è stato possibile notare il grande valore non solo estetico ma anche identificativo della cosmesi per la figura femminile, figura che, soprattutto attraverso Giovenale e Catone il Censore, è stata criticata, subendo per così dire una metamorfosi nell’immagine comune. Anche Baj propone la sua personale visione della donna, Antonietta du Ligier, dama proveniente dall’alta borghesia, come viene indicato anche dai ricchi materiali di cui è composta. Baj crea altre dame sempre accompagnate da generali, che, con le loro espressioni sfacciate, mostruose e ridicole diventano il simbolo di una classe sociale che vuole ad ogni costo affermare la propria superiorità, oggetto di timore e allo stesso tempo di derisione. Con Baj si passa così a ridicolizzare non solo la donna in sé, che “condivide” il suo status con il suo accompagnatore, ma anche l’ipocrisia del contesto sociale in cui vive.

Andrea Ghisi, Tancredi Pezzoni, Camilla Tortorella