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Percorso Didattico - "Monowe" di Ludovica Carbotta

14 giugno 2019–15 giugno 2019

ARCHEOLOGIA TRA PASSATO E FUTURO

Dagli oggetti della vita quotidiana dell’antica Roma a “Monowe”

La mostra “Madri silenziose” affronta la condizione della donna nel mondo antico attraverso i reperti archeologici che meglio ci permettono di ricostruirla. C’è una strana analogia tra gli oggetti creati da Ludovica Carbotta e i materiali della mostra che sembrano avere la stessa natura, nonostante gli uni siano davvero dei resti lasciatici da una civiltà ormai scomparsa e gli altri siano le “false testimonianze di una città in rovina” dei nostri giorni. Il filo conduttore che li lega è il tema dell’impronta, dell’eredità che i nostri antenati ci hanno lasciato e che noi lasceremo ai posteri.

Gioielli, specchi, balsamari, fusaiole, sono gli oggetti che attestano aspetti della vita quotidiana della donna nell’antichità, materiali esposti nella mostra allestita al museo della Società Gallaratese per gli Studi Patri di Gallarate. I reperti, emersi dagli scavi stratigrafici, spesso appartenevano a tombe ed erano destinati ad accompagnare le defunte nella vita nell’aldilà. Molti di questi oggetti, come vasi e collanine, ricostruiti a partire da frammenti, sono la prova di quanto sia importante interpretare e ricostruire la funzione dei ritrovamenti per comprenderne il peso all’interno della cornice di cui facevano parte. Ritrovamenti eccezionali, come una focaccia combusta o un fondo di contenitore in fibra vegetale, ci mostrano come anche oggetti che non si credeva potessero superare la prova del tempo siano invece arrivati fino ad oggi quasi perfettamente conservati e abbiano un incredibile valore di testimonianza di usi e costumi.

Ludovica Carbotta, artista torinese, artefice del progetto “Monowe”, ha creato una città distopica del futuro, in cui vive un solo uomo circondato da resti di oggetti della vita quotidiana del nostro presente, come magliette, spazzolini, taglierini, pettini, ombrelli, diventati solo impronte, a volte poco riconoscibili, degli oggetti primari, quasi dei fossili del quotidiano, una città costruita secondo i canoni dell’archeologia.

Il nome dell’opera è eloquente, mono dal greco monòs (solo) e dall’inglese we (noi): una persona, che è al tempo stesso singolare e plurale, antico e presente, che indica la coesistenza e la sopravvivenza di un’intera società in un unico individuo. L’artista è stata ispirata, nel creare Monowe, dal filosofo greco Diogene che, a chi gli chiedeva da dove venisse, rispondeva “sono cittadino del mondo intero”. Egli si rifiutava di legare la propria identità alla sua patria, carattere distintivo dell’uomo greco appartenente alla polis, e ribadiva la sua individualità cosmopolita nell’affermare la non appartenenza ad alcun luogo in particolare, ma solamente a se stesso: essere circondati dal mondo intero ha l’effetto quasi sorprendente di farci sentire ancora più soli, fenomeno estremamente diffuso nella società contemporanea.

Cosentino Gaia, Mazzonetto Chiara, Rocca Tracy