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Percorso Didattico - “Legarsi alla montagna” di Maria Lai

14 giugno 2019–15 giugno 2019

FILO E TESSITURA
Dalla marginalizzazione sociale alla metafora di Maria Lai.

Tessere le lodi, perdere il filo del discorso, tramare inganni; sono solo alcuni dei molti modi di dire che inconsapevolmente usiamo e che rimandano al mondo della tessitura, rievocando un’attività che dal neolitico è sempre stata legata alle donne. La lavorazione industriale ha troncato questo legame, tuttavia rimaniamo metaforicamente immersi in questa dimensione. Il filo è la vita che le tre Parche tessono e recidono, l’esile trama con cui Arianna salva Teseo, prima il vanto e poi la condanna di Aracne, l’inganno di Penelope, l’ambiguità di Afrodite, che tesse amori e inganni, il talento di Atena, l’espressione di Maria Lai.

L’attività della tessitura è sempre stata prerogativa delle donne, sia mortali sia dee, e ha assunto il significato simbolico di garanzia di equilibrio e di stabilità sociale e familiare. Come si nota anche dalle fonti antiche, quando una donna tentava di uscire da questa consuetudine veniva biasimata e subito ricondotta all’interno di essa.

Or tu risali 
Nelle tue stanze, ed ai lavori tuoi,
Spola, e conocchia, intendi; e alle fantesche
Commetti, o madre, travagliar di forza.
Il favellar tra gli uomini assembrati
Cura è dell’uomo, e in questi alberghi mia
Più, che d’ogni altro; però ch’io qui reggo.
-Odissea I, vv 460-466; traduzione di Ippolito Pindemonte

L’epitaffio latino “Casta fuit, domum servavit, lanam fecit” sintetizza la condizione della donna testimoniando lo strettissimo rapporto tra tessitura e virtù.

Nell’antichità l’attività del telaio esprime il rigido stereotipo che rinchiude la donna nella gabbia sociale, ma essa rappresenta anche la dimensione intima del tessere insieme che si tramanda di madre in figlia di generazione in generazione. Maria Lai, artista sarda, stravolge, con la performance “Legarsi alla montagna”, il significato negativo del concetto, dipingendolo in modo totalmente nuovo e innovativo. La sua opera, riprendendo l’idea metaforica di “tessere relazioni”, ricostruisce il legame perduto tra uomini e tra uomo e natura, ma in modo materico, con il vero e proprio utilizzo di una banda di tessuto, usando il filo come esemplificazione concreta dei legami tra gli abitanti della comunità di Ulassai, paese da cui l’artista proviene, e la loro montagna. La sua performance consiste infatti nel congiungere fisicamente con un lunghissimo nastro azzurro le case del paese tra loro e portarne il capo in cima alla parete di roccia sovrastante.

Innovativo è il metodo che Maria Lai utilizza per diffondere la sua opera, tenendo conto della difficoltà di comunicazione presente all’epoca: spedisce infatti lettere con illustrazioni e fotografie di come doveva apparire Ulassai, con allegati riflessioni di artisti e intellettuali. Presente in museo è il commento di Vincenzo Perna nella corrispondenza di Gino Gini, uno dei più noti collezionisti e promotori della mail art di cui il MA*GA possiede il “Mail art terminal archive”. Questa corrente nasce intorno agli anni ’60 e si basa sulla ricerca di una nuova forma dello spazio fisico, intellettuale, di realizzazione.

L’artista non rinnega la tradizione, ma la reinterpreta basandosi su una leggenda che ha come protagonista il filo azzurro della speranza e una bambina salvata, grazie ad esso, dalla morte. In suo onore, la Lai crea questo temporaneo monumento per i vivi, realizzato nel 1981, grazie alla cooperazione di tutta la comunità; si concentra quindi sull’unire anche ciò che si respinge, come cittadini in cattivi rapporti tra loro, e sull’esorcizzare con la forza di un messaggio positivo la paura e il rischio di una vita ai piedi di una montagna.

Sofia Loro, Lucrezia Belvisi, Pietro Ghisi.